progetti

40 e non vederli

LUCA DANIELE | Qᴜᴀʀᴀɴᴛᴀ ᴇ ɴᴏɴ ᴠᴇᴅᴇʀʟɪ

𝘷𝘰𝘭𝘶𝘮𝘦 𝘧𝘰𝘵𝘰𝘨𝘳𝘢𝘧𝘪𝘤𝘰 (2021, 𝘋𝘦 𝘈𝘯𝘨𝘦𝘭𝘪𝘴 𝘈𝘳𝘵, 120 𝘱.)Il racconto/reportage fotogiornalistico della condizione attuale, a distanza di 40 anni, di chi ha subito il terremoto del 1980. Un documento di denuncia sociale che segna l’ennesimo fallimento amministrativo di un’Italia poco attenta ai problemi di chi resta invisibile.

20,00 𝘌𝘶𝘳𝘰*𝘗𝘙𝘌𝘕𝘖𝘛𝘈 𝘈𝘋𝘌𝘚𝘚𝘖 𝘓𝘈 𝘛𝘜𝘈 𝘊𝘖𝘗𝘐𝘈

*𝘴𝘱𝘦𝘴𝘦 𝘥𝘪 𝘴𝘱𝘦𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 7 𝘦𝘶𝘳𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘤𝘰𝘳𝘳𝘪𝘦𝘳𝘦 𝘦𝘴𝘱𝘳𝘦𝘴𝘴𝘰, 6 𝘦𝘶𝘳𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘱𝘰𝘴𝘵𝘢 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘮𝘢𝘯𝘥𝘢𝘵𝘢

«40 e non vederli» è un reportage foto-giornalistico realizzato nei quartieri periferici della città di Avellino. Qui, a 40 anni dal sisma del 23 novembre 1980, vivono ancora migliaia di persone e centinaia di famiglie. Oltre al degrado sociale e urbano, gli abitanti di queste aree hanno un’altra cosa in comune: la rassegnazione. E questo raccontano le 40 foto di Luca Daniele scattate, per lo più, all’interno dei prefabbricati pesanti installati negli anni successivi al terremoto (dal 1981 e fino al 1989)

La rassegnazione è alimentata, anno dopo anno, innanzitutto dalla privazione del diritto a una casa dignitosa. «Ci sentiamo completamente abbandonati dalle istituzioni», dice Mario, che abita nel Q 9, un sobborgo che dall’alto domina il rione Parco, dove la sostituzione dei fabbricati post sisma è ferma da parecchio tempo e solo poche famiglie hanno occupato i nuovi alloggi. Nel Q9, come altrove, è diffuso pure il fenomeno dell’abusivismo, che tocca il picco a via Pirone, un agglomerato «residenziale» alle spalle del centro storico di Valle: su 72 alloggi solo una ventina sono occupati dagli assegnatari. Nessuno, tra i residenti, se la sente di biasimare gli abusivi, perché, dicono, «la casa è un diritto». 

Come Mario, Daniele e Gianni, che abitano a Quattrograna Ovest, reclamano visibilità. Con loro anche le 120 famiglie di via Morelli e Silvati, le 130 del parco Castagno di rione Mazzini, quelle residenti a Bellizzi in via Santangelo, gli abitanti della zona est di Quattrograna, quelli dei prefabbricati di via Tedesco e le 36 famiglie che vivevano nella stessa strada e che dal 2007 sono state sgomberate. Tutti, insomma, testimoniano il fallimento di un’idea di città, ma anche e soprattutto quello di un progetto umano.


Il silenzio è cosa viva

Partiamo da qui, da quelle pozzanghere illuminate dal sole, da una zona rurale della nostra città non curata. Benevento è molto rappresentata da quelle pozzanghere, un indicatore dell’abbandono e del disagio ma anche della bellezza che resiste. Possono essere un disagio per le auto ed un gioco per i bambini… Siamo la città in cui le opere abbondano e poi si abbandonano pur di non essere affidate a qualcuno che le faccia vivere: molte delle opere fotografate nel loro pessimo stato dal reportage di Luca Daniele “Il Silenzio è cosa Viva” erano il frutto di importanti investimenti che l’Europa ci aveva fatto arrivare dopo tanti anni di studio e di progettazione delle amministrazioni precedenti, erano state realizzate dalle migliori intelligenze di questa città, disegnavano sulle mappe una città bellissima, che valorizzava fiumi con parchi fluviali ed urbani, nuovi centri residenziali immersi nel verde. Ma lo scontro tra progetto e realtà è inesorabilmente in quel reportage che non ha bisogno di tante parole per essere commentato, uno scontro sopito nella vita e nella vista quotidiana: i nostri occhi sono così abituati a vedere l’abbandono in città da non notarlo più, da non provocare la reazione di sdegno che sarebbero adatte ad avviare un cambiamento.

Reportage per CIVICO 22 / Benevento


Napul’è Tango Festival

Essere il fotografo ufficiale di un evento vuole dire sentirlo, viverlo e restituirlo a chi ha preso parte, e non solo, raccontando con la massima efficacia le emozioni che ha suscitato. Sentire di aver osservato, guardato e documentato attraversando sempre qualcosa di sé stessi vuole dire aver compiuto un passo in più verso la propria idea di fotografia.


evenoFBIl viaggio mi ha insegnato ad affinare lo sguardo sull’altro, a scoprire che in fondo l’altro mi aiuta ad esplorare me stesso. Così posso entrare ed uscire da quadri di realtà dove chi incontro è lo specchio di me stesso ed io sono lo specchio dell’altro. Come scrive Claudio Magris: “Viaggiare insegna lo spaesamento, a sentirsi sempre stranieri nella vita, anche a casa propria, ma essere stranieri fra stranieri è forse l’unico modo di essere veramente fratelli. Per questo la meta del viaggio sono gli uomini” 

Il progetto fotografico è un tentativo di mostrare in forma diretta e indiretta questo gioco di specchi dove lo sguardo dell’altro restituisce parte di me.


Walking Malesia


Lost in Tango